Perché lo consigliamo?
Perché è un romanzo denso, un caleidoscopio dove i sentimenti si incontrano, si mescolano, si scontrano, e cambiano forme e colori.
Perché l’isola dell’Aria è un posto magnifico.
Perché può capitare, a volte, che il dolore sia talmente grande da non poterlo “dire”, e allora è meglio soffrire in silenzio e credere che l’unica salvezza siano i ricordi da custodire per poi scoprire e capire che non è affatto vero.
E perché ci sono temi dolorosi quali l’assenza e la morte, ma questo libro in realtà parla di vita, tanta vita.
Cosa ci è piaciuto di più?
L’intensità e la potenza del romanzo: i dialoghi, gli incontri e gli scontri, le scelte fatte o fatte da qualcun altro, le situazioni drammatiche o esilaranti perché si può ridere e scherzare anche dentro una tragedia. E i personaggi di questa storia, caratterizzati magistralmente, lo sanno fare benissimo. E poi Mencìa: la nonna novantenne che non si fa sopraffare da nessuno, che ha modi bruschi e sfacciati, che parla chiaro, che mette a dura prova le emozioni di chi la ascolta e costringe a guardare in faccia la vita e a farci i conti, perché, dice lei, “a novant’anni si perde il pudore e, quando non c’è pudore, saltano fuori le verità scomode, le magagne”.
C’è qualcosa che non abbiamo gradito?
In realtà nulla, perché anche se a volte la lettura sembra incepparsi per i punti di vista che cambiano continuamente, questo scambio è parte della storia e rende ancora più forte l’effetto emozionale.
Frase da sottolineare:
“Ci guardiamo. Madri e figlie, sorella e sorella, zia e nipoti, nipoti e nonna. Isole. Strana parola. Così circolare, così chiusa in una curva pericolosa che rende difficile la visione. Cinque lettere che ci divertiamo a spartirci tra noi. Tirando a sorte. La i incrostata delle ossa senza muscoli di Inés, con al fianco i suoi sogni e la sua poca realtà. La s per la sconfinata spericolatezza di Mencía e delle sue carte sempre segnate. La o per bea e le sue omissioni. La l perché Lía finalmente straripi, trascinandosi dietro tutte noi con la vita che le resta. E la e finale per me, perché si estenda a tutti i plurali che mi modellano e perché io possa imparare una benedetta volta a immaginare al singolare, a immaginarmi intera.”
Manuela Costantini consiglia, oltre a questo libro, tutti i libri di Alejandro Palomas.